A Idlib è in corso una delle tragedie umanitarie del secolo

Il murale della piccola fiammiferaia a Idlib, Siria. (Per gentile concessione di Kesh Malek)

Non esistono parole abbastanza forti per descrivere la tragedia in atto nella provincia siriana di Idlib. E soprattutto, purtroppo, non c’è nessuno che voglia ascoltare, reagire o semplicemente agire. 

Secondo le Nazioni Unite circa 900mila persone, tra cui moltissimi bambini, sono in marcia nel cuore dell’inverno siriano per sfuggire a un’offensiva guidata dall’esercito di Bashar al Assad appoggiato dall’aviazione russa. Questa massa di persone scappa dai bombardamenti aerei e dai colpi di artiglieria, ma non ha un posto dove andare perché l’unico orizzonte è la frontiera turca, chiusa.
Centinaia di migliaia di civili sono intrappolati su strade dove creano accampamenti di fortuna tra le montagne, nella speranza di ricevere aiuto. Il 18 febbraio l’Onu ha ricordato il dramma di una bambina morta di freddo tra le braccia del padre all’arrivo in un accampamento. Il giorno prima, il dottor Raphael Pitti, medico umanitario francese in contatto con alcuni colleghi che operano sul posto, ha denunciato il bombardamento di un reparto maternità, a suo dire deliberato.


L’Onu parla della peggiore crisi umanitaria del nuovo secolo, che purtroppo somiglia parecchio al precedente. Martedì Michelle Bachelet, commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ed ex presidente del Cile, ha lanciato un appello per chiedere la creazione di corridoi umanitari per aiutare i profughi siriani.
Ma la triste realtà è che l’Onu e la commissaria non hanno alcun modo di farsi sentire. Le Nazioni Unite, come sappiamo, sono soltanto la somma della volontà degli stati che ne fanno parte, che in questo caso sono profondamente divisi e riducono l’organizzazione all’impotenza.
Sostenuto da Vladimir Putin, Assad è apparso in televisione per annunciare che intende conquistare Idlib, l’unica regione che ancora sfugge al suo controllo, “indipendentemente dai discorsi striduli che arrivano da nord”, riferendosi chiaramente alla Turchia.
Idlib è soltanto l’epilogo, sicuramente provvisorio, di nove anni di guerra in Siria in cui abbiamo visto l’ottimismo della primavera araba trasformarsi in una carneficina con diversi protagonisti.
Durante questi nove anni il concetto di comunità internazionale è evaporato. Nessuno ha dimenticato la rinuncia di Barack Obama di far rispettare la “linea rossa” sulle armi chimiche, né l’entrata in scena di Putin per approfittare del vuoto strategico.

Già in precedenza, in Siria, c’erano sette milioni di sfollati e cinque milioni di rifugiati all’estero, a cui bisognerà aggiungere i 3,5 milioni di abitanti di Idlib.
Negli anni novanta il mondo si è indignato per Sarajevo, ha pianto i morti del Ruanda e ha promesso “mai più”. Ma quella promessa, ancora una volta, si infrange sul cinismo degli stati e su un’epoca indifferente. Idlib è l’ennesimo simbolo del nostro fallimento collettivo.

Febbraio 2020

La tragedia senza fine dei civili di Idlib

“Questa regione sta per diventare il più grande cumulo di macerie del mondo, disseminata di cadaveri di un milione di bambini”: a dirlo è il coordinatore delle Nazioni Unite per le emergenze umanitarie, Mark Lowcock, che non trova più superlativi per descrivere l’orrore che stanno vivendo gli abitanti della regione di Idlib, vittime della guerra totale lanciata dal regime siriano per riconquistarla a qualsiasi costo. Chi sono le vittime? Perché la situazione a Idlib è cosi apocalittica?
Se l’obiettivo dichiarato di Bashar al Assad è il gruppo armato Hayat Tahrir al Sham, ex affiliato ad Al Qaeda, che da un paio d’anni ha preso il sopravvento sugli altri gruppi ribelli nell’area, la maggiore parte degli attuali abitanti di Idlib sono civili arrivati in questa zona perché già sfollati più volte durante i nove anni di guerra civile. Molti hanno sofferto l’assedio della Ghuta orientale, di Deraa o quello di Aleppo, e vivono in una situazione di estrema precarietà. Queste 900mila persone si stanno spostando ogni anno un po’ di più verso il confine turco. La Turchia ha accolto finora circa 3,5 milioni di rifugiati siriani, ma dal 2015 ha chiuso la frontiera.

Un’inchiesta del giornale libanese l’Orient le jour sui trafficanti di esseri umani spiega che la Turchia non teme di sparare sui disperati che cercano di passare il confine e che il costo di un passaggio di contrabbando, che fino al 2016 era di cento dollari, oggi può arrivare a tremila.
Dall’altra parte c’è l’offensiva del regime di Bashar al Assad appoggiata dalle forze russe. Oggi, a parte la paura delle bombe, nessuna delle persone che vive nella zona pensa di potersi ritrovare di nuovo sotto il regime di Assad dopo quello che hanno vissuto. “Stiamo andando via, ma non dimenticheremo”, dice una giovane siriana che in una videointervista prova a descrivere una situazione infernale, mentre il giovane Suyhayb Pier El Khalid posta su Facebook le ultime foto di lui e sua figlia piccola prima di lasciare i suoi alberi di ulivo e la fattoria che “era tutto per noi e per la storia della nostra famiglia”.

Guerra totale

Il fatto che la guerra in Siria produca cosi tanti sfollati – circa la metà della popolazione ha dovuto abbandonare la sua casa – non è un caso: la tecnica del regime è quella della terra bruciata e colpisce deliberatamente le strutture civili – un gravissimo crimine di guerra – e in particolare gli ospedali. Si tratta di una “tattica sistematica del governo”, denuncia Physicians for Human Rights, confermata anche dall’Onu. La ricercatrice di Human Rights Watch sulla Siria, Sara Kayyali, spiega così questa specificità della tragedia siriana: “La crisi umanitaria è senza precedenti prima di tutto perché il numero di sfollati è aldilà della capacità di gestione da parte degli operatori umanitari; inoltre, i bombardamenti e i raid aeri non solo provocano una fuga di massa, ma influiscono anche sulla capacità di fornire riparo e cibo sul lungo periodo”. La guerra totale non risparmia nessuno: il 19 febbraio due operatori umanitari della ong Oxfam sono stati uccisi da gruppi non identificati mentre distribuivano aiuti.
Il fatto che la guerra in Siria produca cosi tanti sfollati – circa la metà della popolazione ha dovuto abbandonare la sua casa – non è un caso: la tecnica del regime è quella della terra bruciata e colpisce deliberatamente le strutture civili – un gravissimo crimine di guerra – e in particolare gli ospedali. Si tratta di una “tattica sistematica del governo”,
Secondo l’Unicef, tra i profughi mezzo milione sono bambini, principali vittime di questa “carneficina continua”. Sui social network siriani girano centinaia di video di bambini. Il video di un padre che fa ridere sua figlia ogni volta che scoppia una bomba è diventato virale. Sono lontani i giorni in cui da Kafranbel, piccolo villaggio in provincia di Idlib, gli abitanti scrivevano striscioni divertenti per richiamare l’attenzione della comunità internazionale. Uno dei principali attivisti della città, Raed Fares, è stato assassinato dal gruppo Hayat Tahrir al Sham, nel 2018. Ora la città è stata rasa al suolo. Sui muri restano alcuni messaggi degli abitanti, mentre a Idlib il “Banksy siriano” ha dipinto un murale: “Oltre un milione di bambini a Idlib stanno affrontando lo stesso destino della piccola fiammiferaia. Salvali”, recita la scritta.
La copertina del settimanale siriano indipendente Abr titola “Viaggio verso la morte di freddo”, con un ritratto di Iman Ahmed Leyla, la bambina siriana di un anno e mezzo morta di freddo mentre la famiglia provava a raggiungere un posto sicuro lontano dalle zone bombardate di Idlib. La bambina pesava 4,5 chili, precisa il referto del suo decesso. Le basse temperature e la mancanza di rifugi per le famiglie – che cercano riparo sotto agli alberi – è già costata questa settimana la vita di sette bambini, morti congelati. Alle morti per freddo è dedicata anche la prima pagina della rivista Insane. Il settimanale indipendente siriano Ennab Baladi spiega che, inoltre, il prezzo dei carburanti è salito alle stelle. “L’85 per cento della popolazione siriana è ormai sotto la soglia di povertà e la maggiore parte delle persone non può comprare carburanti per scaldarsi. Così, le famiglie bruciano scarpe, plastica, qualsiasi cosa, anche cose molto tossiche”.

Dalla televisione di stato, Bashar al Assad ha annunciato che non si fermerà: “La battaglia per la liberazione delle province di Aleppo e Idlib continua, indipendentemente dai discorsi vuoti e allarmisti che vengono dal nord”.
I 900mila sfollati di Idlib non hanno un posto dove andare, intrappolati tra le forze di Assad e l’impermeabile frontiera turca, ma malgrado tutto non torneranno mai indietro. Quello che sta succedendo a Idlib è prima di tutto una catastrofe umanitaria alle nostre porte. Ma inutile chiedere aiuto all’occidente democratico, scrive su Al Araby lo scrittore siriano Ali al Abdullah: “Se l’occidente democratico è stato così riluttante a stare a fianco dei siriani, è perché non fa niente in maniera disinteressata, vuole sempre trovare un guadagno in ciò che fa. Probabilmente non avrà trovato una ricompensa abbastanza grande per farsi coinvolgere nella causa siriana”.



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